Tra i reati informatici va sicuramente incluso anche il delitto descritto dall’art.615 quinquies c.p., norma introdotta nel codice penale dall’art.4 della L. 23-12-1993 n.547, che, dopo la modifica dell’art.4 della L. 18-3-2008 n.48, così recita:
“chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, si procura, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329”.
Il delitto di diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico, pur essendo incluso all’interno dei delitti volti a tutelare il c.d. domicilio informatico, secondo le opinioni più diffuse ha invece una funzione di tutela prodromica rispetto al danneggiamento, previsto dall’art.635 bis c.p..
Il delitto era stato inizialmente introdotto al fine di reprimere la diffusione di programmi “virus”, che cioè possono causare il danneggiamento o l’alterazione di hardware o software, di dati contenuti in un sistema informatico o telematico o di alterarne il funzionamento.
Tra essi si ricordano i programmi “backdoor” (che si riproducono velocemente aprendo varchi nel sistema), quelli “spyware” (che raccolgono informazioni sull’attività online della vittima), quelli “keylogger” (che intercettano quanto viene digitato sulla tastiera dalla vittima).
La nuova formulazione della norma, tuttavia, non limita la tutela contro i “programmi” con tali caratteristiche, ma la estende anche alle “apparecchiature” e “dispositivi”.
Va notato che la formulazione della disposizione non lega la illiceità della condotta ad una caratteristica oggettiva dei programmi, apparecchiature e dispositivi, ma la fa discendere dal dolo specifico, ovvero dalla finalità dell’agente di “danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi, ecc.”.
Non è sufficiente lo scopo di danneggiare, ma occorre che ciò avvenga “illecitamente”; il che, se da un lato evidenzia l’intenzione del legislatore di evitare un’eccessiva estensione della punibilità, dall’altro lato introduce un ulteriore elemento di difficoltà interpretativa.
Peraltro, tra le finalità oggetto del dolo specifico dell’agente, non è necessario che ricorra lo scopo di danneggiare, essendo sufficiente quello di “favorire l’interruzione o l’alterazione del funzionamento” del sistema informatico o telematico.
Quindi per integrare la fattispecie occorre una consapevolezza ben minore del fine di distruzione o danneggiamento. Infatti, la Giurisprudenza di merito ha ritenuto che per l’integrazione della fattispecie sia sufficiente che vi sia l’accertata volontà dell’agente di diffondere il programma con la consapevolezza dei suoi effetti non esigendo la norma che il fine dell’azione sia la distruzione o il danneggiamento del sistema informatico.
Le condotte rilevanti sono numerose: procurarsi, produrre, riprodurre, importare, diffondere, comunicare, consegnare o, comunque, mettere a disposizione di altri le apparecchiature, i dispositivi o i programmi in questione.
Nonostante la evidente attualità della materia trattata dalla norma in esame, le applicazioni pratiche risultano rare.
Si segnala che la giurisprudenza ha ritenuto di non applicare la norma nel caso di chi si era abusivamente procurato un congegno elettronico atto ad alterare il sistema di protezione delle macchine cambiamonete, con la finalità di impadronirsi delle somme ivi contenute, non risultando dimostrato che la macchina cambiamonete sia qualificabile come sistema informatico.
Cosa fare in caso di accusa di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici
Perché ricercare l’assistenza di un avvocato penalista a Torino?
Come visto in precedenza, non è così agevole valutare la sussistenza di tutti gli elementi necessari a configurare la fattispecie in esame.
Pertanto, a meno di una qualificazione già contenuta in un atto giudiziario, sarà opportuno rivolgersi ad un legale per chiarire quale sia la corretta disciplina applicabile al caso di specie.
Ma, attesa la complessità delle questioni interpretative, anche in caso di qualificazione già contenuta in un atto giudiziario, non può escludersi che la stessa possa essere messa in discussione.
Gli avvocati Anselmi e Muci sono disponibili ad esaminare i casi a loro sottoposti per indicare la migliore qualificazione giuridica e la strategia da seguire, sia in caso si sia danneggiati dal reato, sia nel caso si sia accusati di esso.
Nel caso sia necessario presentare una denuncia all’Autorità Giudiziaria, l’assistenza di legali esperti come gli avvocati Anselmi e Muci consentirà di predisporre tale atto adeguatamente.