L’art. 326 c.p., rubricato Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, così recita:
“Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.”
Si tratta di una fattispecie che rientra nel novero dei reati contro la pubblica amministrazione, più precisamente dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
L’interesse tutelato dalla norma è il buon funzionamento della pubblica amministrazione.
La persona offesa è, dunque, solo la pubblica amministrazione, come ribadito dalla Cassazione. Allorquando le condotte illecite che costituiscono il reato incidano sulla posizione del terzo soggetto privato, questi sarà tutt’al più considerato un danneggiato dal reato ma non persona offesa, con le conseguenti limitazioni processuali che da tale diversa qualifica derivano.
La fattispecie in esame è un reato “proprio”, in quanto può essere commesso solo dal soggetto che riveste la qualifica di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) o di incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.).
E’, pertanto, preliminarmente necessario chiarire in cosa consistano le qualifiche di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio.
Nozione di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio
L’art 357 c.p., intitolato “Nozione del pubblico ufficiale”, recita:
”Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o del suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.
Mentre la pubblica funzione legislativa e giudiziaria sono concetti intuitivi, non altrettanto si può dire per quello di pubblica funzione amministrativa.
Innanzitutto, il primo problema da risolvere è capire che cosa sono le norme di diritto pubblico citate dall’art. 357 c.p.
Sono norme di diritto pubblico quelle che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento dello Stato e degli altri enti pubblici, e i rapporti fra il cittadino e gli stessi.
Esse, dunque, regolamentano l’organizzazione e l’attività dei diversi settori della P.A. nonché la classificazione e la natura degli atti della stessa P.A., ossia le attività e gli atti in cui consiste la pubblica funzione svolta da specifici soggetti inseriti organicamente in tali settori.
Il pubblico ufficiale è, dunque, colui che svolge una pubblica funzione, ossia, come si è detto, un’attività regolamentata da norme di diritto pubblico, la quale si esplica nell’emanazione di atti autoritativi, ossia di atti che sono l’estrinsecazione di poteri autoritativi, tra i quali non rientrano solo i “poteri coercitivi” (di arresto, di perquisizione etc.), ma anche tutte quelle attività che consistono in manifestazioni di volontà della P.A. caratterizzate dall’esercizio di un potere pubblico discrezionale (ad es. il rilascio di autorizzazioni amministrative) nei confronti di altro soggetto (sempre nell’esempio, il destinatario dell’autorizzazione) che così viene a trovarsi su un piano non paritetico rispetto all’autorità che tale potere esercita, potendo egli tutt’al più, in taluni specifici casi, essere titolare di interessi legittimi.
La pubblica funzione può svolgersi anche attraverso l’esercizio di poteri certificativi che consistono nell’attività di documentazione cui l’ordinamento assegna efficacia probatoria.
Talora potere autoritativo e potere certificativo possono coesistere nella medesima pubblica funzione, ma non necessariamente.
La giurisprudenza, nel corso dei decenni, ha elaborato una vastissima casistica, che fornisce un valido supporto per dirimere il dubbio sulla sussistenza o meno della qualifica soggettiva in esame in talune fattispecie concrete.
Esempi di pubblici ufficiali che possono trarsi dalla quotidianità sono:
- i notai;
- i giudici e i cancellieri nell’esercizio delle loro funzioni;
- i medici ospedalieri quando sono in servizio in ospedale e rivestono un ruolo apicale(ossia primari o aiuti primari, oggi denominati rispettivamente dirigenti medici di secondo e primo livello);
- gli insegnanti delle scuole pubbliche;
- gli agenti di polizia giudiziaria;
- gli ufficiali di anagrafe e di stato civile;
- gli scrutatori nell’esercizio delle loro funzioni nei seggi;
- il sindaco.
L’art. 358 c.p., intitolato “Nozione della persona incaricata di pubblico servizio”, recita:
“Agli effetti della legge penale sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.
L’incaricato di pubblico servizio è, quindi, colui che presta un servizio pubblico, cioè un’attività disciplinata da norme di diritto pubblico, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici della funzione pubblica, ossia dei poteri deliberativi, autoritativi o certificativi di cui si è detto.
Il pubblico servizio ha anch’esso una regolamentazione di natura pubblicistica, al pari della pubblica funzione, che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina la discrezionalità senza, però, conferirgli i poteri propri della funzione pubblica.
Non possono essere ritenuti incaricati di pubblico servizio coloro che svolgono solo mansioni di ordine e prestazioni di opera meramente materiale.
A mero titolo di esempio, sono incaricati di pubblico servizio:
- i medici di reparto o di pronto soccorso quando sono in servizio in ospedale e non rivestono un ruolo apicale;
- i farmacisti;
- i bidelli, sebbene vi siano talora contrasti giurisprudenziali in merito;
- le guardie giurate che svolgono funzioni di portavalori;
- i letturisti dei contatori delle società di somministrazione Gas, delle società di Energia Elettrica;
- i dipendenti postali addetti allo smistamento della corrispondenza;
- i riscossori delle tasse automobilistiche;
- il sub-concessionario per la gestione dei giochi telematici in relazione alla riscossione e versamento di quanto dovuto allo Stato;
- il conducente di un mezzo pubblico di trasporto;
- gli ausiliari del traffico quando accertano e contestano i divieti di sosta all’interno delle aree in concessione alle imprese di gestione parcheggi;
- i necrofori.
Esercitano mansioni di ordine e prestazioni di opera meramente materiale e quindi non sono incaricati di pubblico servizio, sempre a mero titolo di esempio:
- il portiere di un ospedale;
- l’operatore ecologico (netturbino);
- il tassista;
- l’addetto al servizio di riscossione del pedaggio in un parcheggio automatizzato di un’azienda comunale;
- i dipendenti comunali con le mansioni di interratori addetti alla sepoltura delle salme;
- l’usciere di un ufficio giudiziario.
Essi sono, dunque, soggetti privati.
Fattispecie disciplinate dall’art. 326 c.p.
La norma in esame prevede due distinte fattispecie, che sostanziano la violazione del segreto d’ufficio:
- la rivelazione di segreti d’ufficio (co. 1 e 2)
- l’utilizzazione di segreti d’ufficio (co. 3).
Prima di trattare le due distinte fattispecie, occorre chiarirne alcuni presupposti fondamentali comuni.
- Notizie d’ufficio: non è necessario che il soggetto attivo abbia avuto conoscenza di tali notizie in ragione della sua funzione o servizio; basta che si tratti di notizie che devono rimanere segrete e che tale soggetto avesse l’obbligo di impedirne l’ulteriore diffusione.
- Segretezza delle notizie: il dovere del segreto sulle medesime deve derivare da una legge, un regolamento, una consuetudine oppure dalla natura stessa notizia che può recare danno alla P.A.
In mancanza di fonti specifiche, l’obbligo giuridico al segreto è comunque previsto in termini generali dallo stesso statuto degli impiegati civili dello Stato, al cui art. 28 L. 241/1990, che ha novellato l’art. 15 D.P.R. n. 3/1957, si stabilisce che il divieto di divulgazione di notizie d’ufficio comprende non solo le informazioni sottratte all’accesso di chiunque e in ogni tempo, ma anche quelle che non possono essere date a persone che non hanno diritto di riceverle, in quanto non in possesso dei prescritti requisiti, come nel caso in cui un funzionario giudiziario del tribunale si sia introdotto nel sistema informatico della procura per visionare un fascicolo e informare l’indagato dell’identità della persona offesa denunciante.
Il dovere di segretezza del p.u. viene meno quando la notizia di ufficio, pur dovendo rimanere segreta, è divenuta di dominio pubblico non per causa imputabile a tale funzionario, ma non viene meno se gli atti o i fatti segreti, già conosciuti in un ambito limitato di persone, siano stati divulgati a settori ben più vasti di pubblico. In tal caso, invece, il p.u. risponderà del reato di rivelazione del segreto d’ufficio. Il caso è quello dell’ufficiale di p.g., la cui annotazione di servizio relativa ad indagini eseguite, pur nota ai colleghi cooperanti nelle medesime, venga portata a conoscenza di altri.
Rivelazione di segreti d’ufficio
La Suprema Corte ritiene che si tratti di un reato di pericolo effettivo: la rivelazione di notizie d’ufficio che devono rimanere segrete o l’agevolazione della loro conoscenza sono punibili non in sé e per sé, ma in quanto in grado di produrre nocumento/pregiudizio alla P.A. per effetto della divulgazione del segreto medesimo.
“Rivelare” significa divulgare le notizie coperte dal segreto, portarle cioè a conoscenza di terze persone che non abbiano diritto di accesso alle medesime.
“Agevolare la conoscenza di notizie d’ufficio” significa facilitarne la conoscenza a terzi estranei.
La violazione dei doveri e l’abuso della qualità sono concetti pleonastici. E’ evidente che il p.u. o l’incaricato di p.s., che rivela notizie coperte da segreto viola i doveri inerenti alla sua funzione o servizio oppure usa la sua funzione o servizio per finalità diverse da quelli per le quali essa è stata conferita e deve essere esercitata.
Per l’integrazione del reato non ha rilevanza alcuna che la rivelazione o l’agevolazione siano commesse per finalità patrimoniali: il soggetto agente ne risponderà indipendente dallo scopo economico perseguito o dal fatto che abbia ricevuto un compenso economico o un’altra utilità. Il soggetto agente, dunque, sarà punito per il mero fatto di aver rivelato notizie d’ufficio coperte da segreto o di averne agevolato la conoscenza.
La rivelazione e l’agevolazione della conoscenza delle notizie d’ufficio sono punite a titolo di dolo generico consistente nella coscienza e volontà di diffondere notizie d’ufficio che devono rimanere segrete.
L’agevolazione è punita dal II comma dell’art. 326 c.p. anche se commessa a titolo di colpa, ossia per imprudenza, negligenza o imperizia. Si può ipotizzare il caso del p.u. o incaricato di p.s. che lasci un fascicolo dell’ufficio sbadatamente in luogo accessibile a terzi estranei, che lo consultano e ne ricavano informazioni coperte dal segreto.
Utilizzazione di segreti d’ufficio
Il terzo comma dell’art. 326 c.p. prevede due fattispecie, che hanno in comune l’avvalersi di notizie d’ufficio che devono rimanere segrete, ma distinte dalla diversa finalità perseguita dal soggetto agente: nel primo caso, ritenuto più grave dal legislatore e quindi sanzionato con pena più severa, il p.u. agisce al fine di procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale; nel secondo, il p.u. agisce al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto.
“Avvalersi” significa sfruttare o utilizzare le conoscenze che il p.u. o l’incaricato di p.s. ha per ragioni del suo ufficio, servirsene.
L’avverbio “illecitamente”, che dovrebbe connotare la condotta dell’avvalersi, è ritenuto pleonastico dalla maggior parte degli interpreti della norma, ed altrettanto superflui vengono ritenuti gli aggettivi “indebito ed ingiusto” rispetto ai sostantivi “profitto e danno” che caratterizzano le finalità perseguite dal soggetto agente.
A differenza della rivelazione e agevolazione di cui al primo comma, per l’integrazione del delitto di utilizzazione di segreti d’ufficio è necessario che il soggetto qualificato agisca allo scopo di procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale o un ingiusto profitto non patrimoniale ovvero di causare ad altri un danno ingiusto.
Il dolo pertanto è specifico consistendo nella coscienza e volontà di procurarsi un profitto o causare un danno attraverso l’utilizzazione delle notizie d’ufficio che devono rimanere segrete.
Cosa fare in caso di accusa di rivelazione e utilizzazione segreti d’ufficio (art. 326 c.p.)
Perché ricercare l’assistenza di un avvocato penale a Torino?
Come visto in precedenza, non è così agevole valutare la sussistenza di tutti gli elementi necessari a configurare le fattispecie in esame.
Pertanto, a meno di una qualificazione già contenuta in un atto giudiziario, sarà opportuno rivolgersi ad un legale per chiarire quale sia la corretta disciplina applicabile al caso di specie. Ma, attesa la complessità delle questioni interpretative, anche in caso di qualificazione già formulata in un atto giudiziario, non può escludersi che la stessa possa essere messa in discussione.
Gli avvocati Anselmi e Muci sono disponibili ad esaminare i casi a loro sottoposti per indicare la migliore qualificazione giuridica e la strategia da seguire, sia in caso si sia danneggiati dal reato, sia nel caso si sia accusati di esso.
Nel caso sia necessario presentare una denuncia all’Autorità Giudiziaria, l’assistenza di legali esperti come gli avvocati Anselmi e Muci consentirà di predisporre tale atto adeguatamente.