L’art.314 c.p. così recita: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”.
Il reato di peculato è collocato nel codice penale tra i delitti contro la pubblica amministrazione (P.A.) e, ancor più precisamente, tra i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
Al pari di tutte le altre norme che disciplinano tali delitti, anche il peculato mira a tutelare il buon funzionamento della P.A., la sua trasparenza nell’azione attraverso tutto l’apparato preposto all’esercizio di precise funzioni demandate al potere esecutivo, il suo onore e prestigio, l’imparzialità, l’efficienza, l’efficacia della sua azione.
Il peculato è un reato “proprio”, in quanto può essere commesso solo dal soggetto che riveste la qualifica di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) o di incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.).
E’ pertanto preliminarmente necessario chiarire in cosa consistano tali qualifiche.
PUBBLICO UFFICIALE E INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO: NOZIONI
L’art 357 c.p., intitolato “Nozione del pubblico ufficiale”, recita:
”Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o del suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.
Mentre la pubblica funzione legislativa e giudiziaria sono concetti intuitivi, non altrettanto si può dire per quello di pubblica funzione amministrativa.
Innanzitutto, il primo problema da risolvere è capire che cosa sono le norme di diritto pubblico citate dall’art. 357 c.p.
Sono norme di diritto pubblico quelle che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento dello Stato e degli altri enti pubblici, e i rapporti fra il cittadino e gli stessi.
Esse, dunque, regolamentano l’organizzazione e l’attività dei diversi settori della P.A. nonché la classificazione e la natura degli atti della stessa P.A., ossia le attività e gli atti in cui consiste la pubblica funzione svolta da specifici soggetti inseriti organicamente in tali settori.
Il pubblico ufficiale è, dunque, colui che svolge una pubblica funzione, ossia, come si è detto, un’attività regolamentata da norme di diritto pubblico, la quale si esplica nell’emanazione di atti autoritativi, ossia di atti che sono l’estrinsecazione di poteri autoritativi, tra i quali non rientrano solo i “poteri coercitivi” (di arresto, di perquisizione etc.), ma anche tutte quelle attività che consistono in manifestazioni di volontà della P.A. caratterizzate dall’esercizio di un potere pubblico discrezionale (ad es. il rilascio di autorizzazioni amministrative) nei confronti di altro soggetto (sempre nell’esempio, il destinatario dell’autorizzazione) che così viene a trovarsi su un piano non paritetico rispetto all’autorità che tale potere esercita, potendo egli tutt’al più, in taluni specifici casi, essere titolare di interessi legittimi.
La pubblica funzione può svolgersi anche attraverso l’esercizio di poteri certificativi che consistono nell’attività di documentazione cui l’ordinamento assegna efficacia probatoria.
Talora potere autoritativo e potere certificativo possono coesistere nella medesima pubblica funzione, ma non necessariamente.
La giurisprudenza, nel corso dei decenni, ha elaborato una vastissima casistica, che fornisce un valido supporto per dirimere il dubbio sulla sussistenza o meno della qualifica soggettiva in esame in talune fattispecie concrete.
Esempi di pubblici ufficiali che possono trarsi dalla quotidianità sono:
- i notai;
- i giudici e i cancellieri nell’esercizio delle loro funzioni;
- i medici ospedalieri quando sono in servizio in ospedale e rivestono un ruolo apicale (ossia primari o aiuti primari, oggi denominati rispettivamente dirigenti medici di secondo e primo livello);
- gli insegnanti delle scuole pubbliche;
- gli agenti di polizia giudiziaria;
- gli ufficiali di anagrafe e di stato civile;
- gli scrutatori nell’esercizio delle loro funzioni nei seggi;
- il sindaco.
L’art. 358 c.p., intitolato “Nozione della persona incaricata di pubblico servizio”, recita:
“Agli effetti della legge penale sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.
L’incaricato di pubblico servizio è, quindi, colui che presta un servizio pubblico, cioè un’attività disciplinata da norme di diritto pubblico, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici della funzione pubblica, ossia dei poteri deliberativi, autoritativi o certificativi di cui si è detto.
Il pubblico servizio ha anch’esso una regolamentazione di natura pubblicistica, al pari della pubblica funzione, che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina la discrezionalità senza, però, conferirgli i poteri propri della funzione pubblica.
Non possono essere ritenuti incaricati di pubblico servizio coloro che svolgono solo mansioni di ordine e prestazioni di opera meramente materiale.
A mero titolo di esempio, sono incaricati di pubblico servizio:
- i medici di reparto o di pronto soccorso quando sono in servizio in ospedale e non rivestono un ruolo apicale;
- i farmacisti;
- i bidelli, sebbene vi siano talora contrasti giurisprudenziali in merito;
- le guardie giurate che svolgono funzioni di portavalori;
- i letturisti dei contatori delle società di somministrazione Gas, delle società di Energia Elettrica;
- i dipendenti postali addetti allo smistamento della corrispondenza;
- i riscossori delle tasse automobilistiche;
- il sub-concessionario per la gestione dei giochi telematici in relazione alla riscossione e versamento di quanto dovuto allo Stato;
- il conducente di un mezzo pubblico di trasporto;
- gli ausiliari del traffico quando accertano e contestano i divieti di sosta all’interno delle aree in concessione alle imprese di gestione parcheggi;
- i necrofori.
Esercitano mansioni di ordine e prestazioni di opera meramente materiale e quindi non sono incaricati di pubblico servizio, sempre a mero titolo di esempio:
- il portiere di un ospedale;
- l’operatore ecologico (netturbino);
- il tassista;
- l’addetto al servizio di riscossione del pedaggio in un parcheggio automatizzato di un’azienda comunale;
- i dipendenti comunali con le mansioni di interratori addetti alla sepoltura delle salme;
- l’usciere di un ufficio giudiziario.
Essi sono, dunque, soggetti privati.
Ciò significa che a tali soggetti non potrà essere contestato il peculato, ma eventualmente altre fattispecie di reato (appropriazione indebita, furto etc.) qualora si approprino di denaro o altre cose mobili altrui di cui vengano in possesso o abbiano disponibilità in ragione della loro attività.
Peculato: elementi costitutivi
Oltre alla qualifica richiesta in capo al soggetto agente, l’art. 314 del codice penale prevede per la sussistenza del reato una serie di specifici requisiti:
- il titolo del possesso o comunque della disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui in capo al soggetto qualificato, titolo denominato dalla norma come “ragione d’ufficio o di servizio”
- il possesso o la disponibilità del denaro o di altra cosa mobile altrui
- l’appropriazione di tali beni
- il dolo
Ragione d’ufficio o di servizio
La ragione d’ufficio o di servizio è il titolo, la giustificazione, la specifica ragione per cui il p.u. o l’incaricato di p.s. hanno il possesso o la disponibilità di denaro o di cosa mobile altrui.
Deve dunque esistere una relazione tra la pubblica funzione o il pubblico servizio e la presa in consegna della cosa.
In altre parole, occorre che il possesso e la disponibilità del denaro o cosa mobile altrui in capo al p.u. o all’incaricato di p.s. sia inerente alla sua pubblica funzione o al suo pubblico servizio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il possesso o disponibilità qualificati dalla ragione d’ufficio o di servizio sono non solo quelli che rientrano nella competenza funzionale specifica del p.u. e nella competenza dell’esercente il pubblico servizio, ma anche quelli conseguiti da tali soggetti per effetto dell’esercizio di fatto o arbitrario della pubblica funzione o del pubblico servizio o derivanti da consuetudini e prassi.
Sarebbe escluso dalla nozione di ragione d’ufficio o di servizio solo il possesso o l’affidamento meramente occasionale del denaro o della cosa mobile altrui. In tale ipotesi il soggetto qualificato risponderebbe, ove ne ricorrano i presupposti, di appropriazione indebita e non di peculato.
E’ evidente come la Cassazione tenda ad estendere l’ambito applicativo della norma sul peculato.
A tale impostazione si oppone la dottrina prevalente per la quale deve, invece, intercorrere un rapporto di dipendenza funzionale tra il possesso e l’esercizio della pubblica funzione o la prestazione del pubblico servizio.
- Possesso o disponibilità del denaro o della cosa mobile altrui
Il possesso nel diritto penale è una nozione più ampia di quella stabilita dal codice civile, poiché comprende non solo la detenzione materiale della cosa ma anche la possibilità di disporne giuridicamente. Si tratta, sostanzialmente, di un potere sul denaro o cosa mobile altrui che è conferito al p.u. o all’incaricato di p.s. dalle norme di diritto pubblico e che si sostanzia nel dovere di custodire tali beni e/o di dare ad essi una specifica destinazione.
Possesso e disponibilità sono termini strettamente complementari nel senso che con il primo si rimarca la relazione immediata tra il soggetto qualificato e la cosa (cd. potere di fatto), mentre con il secondo si sottolinea il potere giuridico di disporne.
Denaro e cosa mobile altrui sono l’oggetto materiale del reato.
Con il primo termine si intende la moneta metallica, i biglietti di Stato, le banconote aventi corso legale in Italia e/o all’estero.
Cosa mobile è ogni entità oggettiva materiale, non qualificabile come persona, e idonea ad essere trasportata da un luogo all’altro. Alla cosa mobile è parificata l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico.
Non possono essere oggetto del reato i beni immobili, mentre i beni immateriali sia personali (vita, prestigio, onore etc.) sia patrimoniali (invenzioni industriali, marchi, opere dell’ingegno) non possono essere oggetto di peculato, ma lo può essere ciò che deriva dall’utilizzo dei secondi.
Anche un diritto può essere oggetto di peculato (ad es. il diritto di usufrutto), così come i titoli di credito e le azioni di società.
A ben vedere, dunque, tutto ciò che abbia un valore economicamente apprezzabile può essere oggetto di peculato potendo, dunque, essere considerato come cosa mobile, anche ciò che abbia un minimo valore o comunque una qualche utilità.
“Altrui” significa appartenente alla P.A. o a terzi estranei ad essa. In tale ultimo caso deve però sussistere in capo al soggetto agente qualificato un potere di disposizione sulla cosa.
- Appropriazione
L’appropriazione è la condotta di colui che fa propria una cosa altrui, comportandosi verso la stessa come ne fosse proprietario.
Giuridicamente si dice che chi si appropria della cosa altrui ne muta il titolo del possesso, cominciando a comportarsi nei confronti della medesima “uti dominus”, ossia come ne fosse il proprietario.
Dopo la riforma dei delitti contro la P.A. del 1990, non si distingue più tra appropriazione e distrazione, che consiste nell’uso della cosa per una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso.
La “distrazione” è oggi ritenuta una delle possibili forme di appropriazione e dunque di peculato poiché, secondo la giurisprudenza, appropriarsi di una cosa altrui non vuol solo dire farla propria ma anche sottrarla alla destinazione pubblica ed indirizzarla al soddisfacimento di interessi privati. Dunque, il p.u. o l’incaricato di p.s. che si appropria della cosa mobile altrui, di cui ha la disponibilità per ragioni d’ufficio o di servizio, comportandosi verso la stessa come ne fosse il proprietario o la destini ad un suo uso privato, in presenza degli ulteriori requisiti di legge per la sussistenza del reato in esame, commette il delitto di peculato.
Qualora invece la destinazione del bene rimanga pubblica e non favorisca terzi estranei alla P.A., è ravvisabile il delitto di abuso d’ufficio.
- Dolo
L’elemento soggettivo del delitto di peculato è il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà del p.u. o dell’incaricato di p.s. di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui che possiede per ragioni di ufficio o di servizio.
- Peculato d’uso
Due distinti reati sono previsti dall’art. 314 del codice penale: il peculato (comma 1) e il peculato d’uso (comma 2).
Il legislatore ha, dunque, inteso punire il p.u. o l’incaricato di p.s. anche quando agisce al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo tale uso, è stata immediatamente restituita.
Questa fattispecie è autonoma, non è una circostanza attenuante del delitto di peculato di cui al primo comma.
Poiché il peculato d’uso è punito con pena assai più lieve (da sei mesi e tre anni di reclusione) rispetto al peculato (da quattro anni e dieci anni e sei mesi di reclusione), è importante capire se il fatto concreto contestato possa o meno rientrare nell’ipotesi del peculato d’uso.
Per uso momentaneo della cosa si intende l’uso temporaneo, immediato e di breve durata. Un esempio di peculato d’uso che si trae dalla casistica della giurisprudenza è quello dell’uso per fini personali, estranei cioè agli interessi dell’amministrazione, della vettura di istituto affidata ai poliziotti per ragioni di pubblica sicurezza.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno ricomposto un contrasto giurisprudenziale sul c.d. peculato telefonico ritenendo che l’utilizzo per fini personali, da parte del soggetto qualificato, del telefono assegnatogli per le esigenze d’ufficio sia peculato d’uso.
Alla stessa conclusione si perviene in teme di connessione internet, per cui commette peculato d’uso il p.u. o l’incaricato di p.s. che adoperi per fini personali il collegamento internet sul computer dell’ufficio in suo possesso.
Il dolo del peculato d’uso è specifico poiché l’appropriazione della cosa è commessa dal soggetto qualificato al fine di farne un uso cronologicamente limitato.
Circostanza attenuante ex art. 323 bis c.p.
Il codice penale prevede, all’art. 323 bis, una circostanza attenuante, secondo la quale la pena per il peculato è diminuita quando il fatto commesso sia di “particolare tenuità” in relazione all’entità del danno economico o del lucro conseguito e ad ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato.
Cosa fare in caso di accusa di peculato (art. 314 c.p.)
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Come visto in precedenza, non è così agevole valutare la sussistenza di tutti gli elementi necessari a configurare le fattispecie in esame.
Pertanto, a meno di una qualificazione già contenuta in un atto giudiziario, sarà opportuno rivolgersi ad un legale per chiarire quale sia la corretta disciplina applicabile al caso di specie. Ma, attesa la complessità delle questioni interpretative, anche in caso di qualificazione già contenuta in un atto giudiziario, non può escludersi che la stessa possa essere messa in discussione.
Gli avvocati Anselmi e Muci sono disponibili ad esaminare i casi a loro sottoposti per indicare la migliore qualificazione giuridica e la strategia da seguire, sia in caso si sia danneggiati dal reato, sia nel caso si sia accusati di esso.
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